Da Capo Vaticano all’Angitola: un tratto di mare da salvare

Ora che l’estate è passata e i turisti hanno lasciato le nostre splendide zone costiere, fermiamoci un po’ noi tutti a riflettere sullo stato di salute del tratto di mare che da Capo Vaticano, passando per Tropea, Parghelia, Briatico, Vibo Marina e Pizzo, arriva fino all’Angitola. E questa riflessione dobbiamo farla proprio ora che i turisti sono andati via, visto che in loro presenza non possiamo far altro che esaltare l’ottima salute del nostro mare e la limpidezza della sua acqua.

Non è così; non è questa la verità! Il nostro mare è malato perché ammalato è l’ambiente di riferimento, gravemente, se non irreversibilmente, compromesso dall’enorme quantità di rifiuti (materiali organici, vetro, carta, plastiche, scarti e scorie delle industrie chimiche e siderurgiche, pesticidi e fertilizzanti) gran parte dei quali, come è risaputo, direttamente o per vie diverse, finiscono nel mare il quale è diventato una specie di gigantesca discarica a cielo aperto.

Responsabili di questo degrado sono in primo luogo gli alti valori di inquinamento organico che si registrano, soprattutto nei mesi estivi, nelle vicinanze di alcuni grandi insediamenti turistici e che sono dovuti ad una scarsa e, in molti casi, inesistente opera di depurazione degli scarichi civili. A ciò si aggiunga la diffusione della pesca “a strascico”, la più deleteria per l’ecosistema marino, perché stravolge letteralmente i fondali, col risultato di una loro progressiva desertificazione e di un irreversibile impoverimento della fauna marina.

Già una cinquantina di anni fa, quando andavo a pesca, e quando il mare riusciva ancora ad assorbire e a trasformare i rifiuti che l’uomo vi scaricava, bastava un’ora di pesca con la rete o con la lenza, per riempire il capiente “secchio” di tracine, pettini, surici, razze, torpedini, corvi, frodani… Oggi non è più così; il nostro mare è ammalato e molti di questi pesci sono scomparsi o sono sulla via dell’estinzione.

Ma la cosa che più colpisce è che da questo mare malato e povero di pesci e dalle nostre zone costiere, ora selvaggiamente cementificate, sono fuggiti e continuamente fuggono anche i gabbiani. La presenza delle discariche e lo stato di putrefazione dei rifiuti organici richiamano, insieme con topi, volpi, cinghiali e cani randagi, questi magnifici uccelli che, ridotti ormai a sgraziati spazzini volanti, vediamo sempre più frequentemente volteggiare irrequieti e frenetici sopra le montagne dei rifiuti.

Questa è la cruda realtà. Il nostro mare è malato, gravemente malato e sempre più inquinato; e non c’è del resto da essere scienziati per accorgerci di ciò. Occorre pertanto porvi subito rimedio e agire con saggezza prima che sia troppo tardi.

Come? Con che cosa?

Saranno sicuramente gli scienziati e i politici a deciderlo, ma anche il singolo cittadino può dare il suo contributo adottando comportamenti responsabili e rispettosi dell’ambiente marino, del suo ecosistema e della sua biodiversità. A noi tutti, ma soprattutto a noi calabresi, il dovere di proteggere e di difendere un bene prezioso come il mare, per poterlo consegnare, quanto più possibile integro, alle future generazioni.

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